sabato 30 aprile 2016

Lettonia, Irlanda e Ungheria nell'ESA2010

Buonasera Pforessor Bagnai,

Le scrissi in passato per commentare il "cambio di rotta" di AMS.
 
Questa volta avrei bisogno di un Suo chiarimento circa i dati Eurostat
pubblicati nei suoi recenti post sulla Lettonia e
sull'Irlanda-Ungheria, non avendo trovato da solo una risposta ai miei
dubbi:

cercando per curiosità di scaricare i dati sulla Spagna e, consultando
il database Eurostat, ho notato che erano disponibili i dati del 2014
e 2015, ma sia gli importi, sia il nome del file sono diversi da
quello da Lei utilizzato nel post sulla Lettonia. Il percorso
utilizzato nella ricerca è questo:
http://ec.europa.eu/eurostat/web/national-accounts/data/database.

Non so se ho cercato il file sbagliato (GDP and main components -
output, expenditure and income - nama_10_gdp), visto che il Suo era
"nama_gdp_c").

Le differenze fra gli importi cambiano anche i rapporti fra quota
salari e quota profitti, a seconda del file consultato. Allego un file
excel con i dati riferiti a Irlanda e Ungheria, confrontandoli con
quelli da Lei usati nel post di oggi (a destra).
Vista la mia inesperienza (sto imparando a cercare i dati grazie al
blog) ho deciso di chiederLe questo chiarimento.

Se a causa degli impegni non avrà tempo e voglia di rispondere non c'è
problema, mi rendo conto che in questo momento avrà cose ben più
urgenti da fare.

Grazie mille, 
M.L. 

(...no: niente è più urgente dei dati: Uga aspetterà la cena...)

M.L. ha ragione. Vi dicevo che rispetto al sistema contabile precedente, considerato qui, l'ESA2010 non cambia molto, e così è, ma in effetti siccome quest'ultimo è il sistema più recente e ora in vigore, andiamo a vedere come stanno le cose (i dati si ricavano qui). Questo, fra l'altro, ci permette di aggiungere un pezzettino alla storia. La struttura dei conti è sostanzialmente identica, con l'unica accortezza che per riconciliare col dato del PIL la somma delle componenti della domanda dovrete tener conto in alcuni casi di una discrepanza statistica (che è riportata ovviamente dal database). Vi do le tre tabelle aggiornate al volo: gli andamenti sono sostanzialmente quelli evidenziati nei post precedenti, con l'unica precisazione che in Lettonia pare che la distribuzione del reddito tenda a riequilibrarsi dopo il 2013 (ma per i redditi da lavoro siamo sempre quattro punti sotto la situazione iniziale). In Irlanda invece le cose stanno decisamente peggio che se usiamo i conti ESA95 (quelli del post precedente).




In sintesi: si conferma che con la svalutazione interna il lavoro ci perde, e mi sembra anche abbastanza superfluo ripeterlo. Il lavoro perde per definizione quando il meccanismo di aggiustamento è il taglio dei salari. Spero che questo sia chiaro. Non mi aspetto che gli editorialisti del Corriere ci arrivino (o, se ci arrivano, che ve lo dicano), ma il fatto che se ti pagano di meno guadagni di meno (anche se il PIL cresce perché il capitalista guadagna di più) credo possiate tutti accettarlo come relativamente scontato.

E con queste belle parole, auguro buon appetto (a chi è stato pagato abbastanza)!

L'errore del liberista


    Io e ll'asino mio! In oggni cosa
Ve sce ficcate voi pe Ccacco immezzo.
In ogni freggna sce mettete un pezzo
Der vostro, e jj'appricate la scimosa.
    Ma, ffratèr caro! e ssete stato avvezzo
Co sto po' dd'arbaggìa prosuntuosa?
Tutto sapete voi! ggnente ha la dosa,
Si pprima voi nun je mettete er prezzo!
    "Io vado, io viengo, io dico, io credo, io vojjo:
L'ho ffatt'io, l'ho vvist'io, sce sò annat'io..."
Pe ttutto sc'entra l'Io der zor Imbrojjo.
    Chi ssete voi? la tromma der Balìo,
Er Papa, Marc'Urelio in Campidojjo,
la Santa Tirnità, Ddomminiddio?!

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 14 gennaio 1833




Enrico Nardelli ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Irlanda vs Ungheria":

Alberto,

ho fatto leggere questo post ad una persona intelligente, che vuole capire e che non sa proprio nulla di concetti economici (ma conosce la comunicazione e la psicologia umana).

Alla prima uguaglianza mi ha detto: "ma per spendere non devo prima aver guadagnato? Non si dovrebbe quindi scrivere REDDITO = SPESA?".

L'ho rapidamente convinta che è la stessa cosa dal punto di vista matematico e mi ha risposto: "matematicamente, sì, ma comunicativamente e percettivamente no". Ed ha aggiunto "devo prima guadagnare, per poter spendere. È vero che la mia spesa è il reddito di un altro, ma ognuno di noi interpreta 'in prima persona' ciò che legge".

Ho pensato che se oltre alle varie migliaia di seguacie (absit iniuria verbis) e gli aficionados vari, che per te si getterebbero nel fuoco ad occhi chiusi, dobbiamo far capire questi argomenti anche a qualche milione di persone "disorientate", forse questa osservazione non è proprio da buttar via...

Postato da Enrico Nardelli in Goofynomics alle 30 aprile 2016 18:01




Eh, vedo che capirsi è difficile...

Ma tanto tanto tanto...

Eppure basterebbe poco...

Niente come questo commento chiarisce la fondamentale distanza del pensiero libbberista dalla realtà e dal pensiero keynesiano (e i danni che tre decenni di propaganda libbberista hanno fatto nelle coscienze dei nostri cosiddetti simili). Caro Enrico, tu pratichi un certo understatement nel definire il tuo amico una persona intelligente e (o "ma") disorientata. Il fatto è che tu hai di fronte a te un genio. Vedi, lui intanto è miglia avanti il liberista medio, perché ha comunque capito che se lui spende qualcuno guadagna. Tutto questo Oscar non lo sa (o forse non lo sapeva, perché ho come la sensazione che ora gli abbiano ordinato di saperlo). Ma, ed è qui la genialità, il tuo amico è anche uno che ha trovato modo di guadagnare senza che nessuno spenda, cioè di generare reddito dal nulla.

Perché il problema non è che se "IO" spendo allora qualcuno guadagna. Il problema è che se nessuno spende allora "IO" non guadagna (non è un refuso). Se leggi bene il commento del tuo amico, vedrai che questo pezzo manca.

La comunicazione, e i suoi esperti, mi lasciano abbastanza freddo, e ti spiego anche perché.

Il nostro problema, purtroppo, non ammette una soluzione democratica. Una parentesi autoritaria e violenta è inevitabile. Punto. Non sto dicendo che ci sarà una dittatura o fregnacce simili (anche se tutto può essere). Sto dicendo che questa cosa non la risolveremo nelle urne: la risolveremo a Wall Street (e ambienti connessi). Tutto quello che possiamo fare è puntare sulla qualità (umana), creare una comunità dove trovare rifugio nei momenti difficili che ci attendono. Partire da "IO" non è un buon inizio, salvo in un raro insieme di eccezioni in cui ce lo si può permettere (e normalmente "IO" non lo sa, perché solo dopo la sua morte si capisce se "IO" poteva fottersene del mondo o meno). Lo dimostra, se non altro, il fatto che, come vedi, "IO" non è una buona categoria analitica in termini di fatti economici.

La forza del pensiero keynesiano è quella di aver dato pari dignità a domanda e offerta, cioè a "io" e alla sua controparte. Questo richiede un piccolo sforzo di astrazione: intuire e interiorizzare la circolarità dei flussi economici (cosa che tu hai fatto), e capire che esattamente come non esiste l'inizio di una circonferenza (se non in un senso del tutto arbitrario e soggettivo, tanto arbitrario e soggettivo da essere sostanzialmente inutile ai fini didattici o analitici), ha poco senso prioritizzare "IO" rispetto alla gerarchia dei fatti economici. Il pensiero frantumato, egocentrato, psicotico dell'economia neoclassica, questo mondo fatto di omini tutti uguali condannati a volere tutti la stessa cosa nello stesso momento, il mondo dell'agente rappresentativo razionale ottimizzante, conduce per forza di cose alla sociopatia. L'atomizzazione del processo decisionale e della struttura sociale connaturata al modello walrasiano, volta a rendere matematizzabile il calcolo economico, e intesa a privilegiare il ruolo dell'individuo, in fin dei conti si traduce in una Weltanschauung totalmente distopica, dove la decisione di produrre (e quindi di guadagnare) è scissa e sopraordinata gerarchicamente rispetto a quella di spendere. Quest'ultima viene considerata accessoria, derivata, ed è esattamente questa la motivazione al tempo stesso antropologica e operativa per la quale siamo in una spirale deflattiva da carenza di domanda: perché viviamo circondati da persone che ragionano partendo da "IO", guidate da persone che usano un modello fatto di "IO" e pensano che l'economia cominci da quanto produce "IO".

"Devo poter guadagnare"... senza che nessuno spenda?
Il mondo inizia da te?

Sicuro sicuro?

Sicuro sicuro sicuro?

A me sta anche bene. Ma rendiamoci conto che qui siamo nella psicosi, nella patologia, non c'è strategia comunicativa che tenga rispetto a questa etica farlocca del sacrificio (lavoro-pago-preténdo), a queste incrostazioni deamicisiane, a questa morchia ottocentesca che ancora intorbida la riflessione economica dell'italiano medio, e soprattutto dell'italiano medio-alto! Non è (solo) il problema di interpretare "in prima persona" (methron anthropon). E se anche (lecitamente) fosse, è utile scardinare da subito le categorie di chi ragiona così, dei novelli Cagliostro che hanno trovato modo, col loro sacrificio e la loro superiorità morale da filistei in redingote e basettoni a cotoletta, di estrarre reddito dal nulla (credono loro)...

In termini politici, anche se mi duole sembrare divisivo, con chi ragiona così temo che non ci sia molto da fare. Il problema è pre-razionale, pre-logico, e quindi anche pre-comunicativo. Non ci arrivi col logos. Non ce la fai. Esattamente come chi usa le categorie del nemico (helicopter money) è il nemico, chi asseconda l'economia di "IO" sarà sempre e comunque intrinsecamente impermeabile all'idea che gli scambi debbano essere tendenzialmente equilibrati, sarà sempre e comunque schiavo di un pensiero unilaterale (creditore buono, debitore cattivo; surplus bello, deficit brutto; inflazione brutta, deflazione bella...), sarà sempre e comunque prono alla logica dei rapporti di forza, e pronto a impersonarla, nella speranza (comunque vana) di poterla orientare a proprio vantaggio.

Non è un problema logico, né comunicativo. Non si tratta semplicemente di capire che se A=B allora B=A (il che aprirebbe l'eterno problema di quelli che "iopelamatematicanuncesoportatopé"... La "cultura" del piddino, tutta trivio e distintivo...). Il problema è etico. Il problema è capire che il mondo esiste. Guarda che non occorre, né basta, essere intelligenti per capirlo. L'intelligenza è un enorme ostacolo, e su questo esiste una letteratura scientifica specifica (Longagnani ci ha citato un paper fantastico, sul quale dobbiamo tornare). L'intuizione di Brigitte Granville, comunicatami la prima volta che la vidi ("gli uomini colti sono i nostri nemici") è comprovata da peiper pirreviued.

Se qui siete una comunità estremamente selezionata (e lo siete) è anche perché ho deciso programmaticamente di rivolgermi a pochi, mettendo dei filtri. Ed è per questo che anche se il modello keynesiano in effetti nei libri di testo viene detto income-expenditure model, preferisco partire dal lato della spesa.

Perché il modello keynesiano (ma anche di questo parliamo un'altra volta) non è il modello di Keynes. Keynes lo chiarisce da subito che senza aspettative di domanda non c'è produzione, e quindi, come dire, una sua idea di cosa inneschi il processo ce l'ha e la dice. Ma soprattutto perché se ce l'hai fatta tu, e soprattutto se ce l'ho fatta io (al quale questi argomenti interessano così poco), in fondo, volendo, potrebbero farcela anche altri. Non so tu, ma "IO" non credo di essere un genio. Credo di essere abbastanza integro moralmente da dire in pubblico le stesse cose che sono scritte nei libri e nei lavori scientifici attinenti al mio campo di indagine (vi ho dato mille prove del fatto che questa purtroppo è un'eccezione nella mia professione - ma vi ho anche detto che le cose sarebbero cambiate e stanno iniziando a cambiare).

Ma di essere un genio non lo credo proprio.

Il che, appunto, riconferma che il problema non è logico né comunicativo.

Il problema è etico.

In altre parole, l'errore del liberista (ragionare in termini di "IO", cioè ragionare in termini di offerta ignorando la domanda) non è un errore logico: è una scelta morale (e moralistica). Quanto sia corretta lo dimostrano i fatti ogni volta che a queste persone è concesso di governare. Normalmente finisce con una guerra mondiale, il che non depone esattamente a loro favore.

Salutami il tuo amico, ovviamente, da parte di "IO".

Irlanda vs Ungheria

...e ci risiamo: anche stamattina, a Coffee Break La 7, i soliti argomenti da bar.

Nonostante la conduzione equilibrata dell'ottimo Pancani, e la disponibilità de La 7, che ringrazio, ad accogliermi (in fondo, sono solo uno che dice cose che a Harvard dicono da vent'anni, e a Cambridge - quello vero - da cinquanta...), è desolante vedere come la qualunquologia sia egemone.

Si va da "la svalutazione che crea il debito" (ma se la Germania era un paese forte, perché la sua valuta non avrebbe dovuto rivalutarsi? Ed è possibile la rivalutazione di un paese senza la svalutazione di un altro? Insomma, nel mondo dei qualunquologi un marco compra più lire ma con una lira compri gli stessi marchi: a gente così non vorrei mettere in mano nemmeno cinque euro per andare a prendere il pane dal fornaio! E se la svalutazione promuove esportazioni e crescita, come ci conferma il Fmi, come farebbe a far crescere il rapporto debito/PIL? In effetti, questo è cresciuto negli anni '80, quando eravamo agganciati allo SME, e ve l'ho fatto vedere migliaia di volte), al miracolo irlandese, e all'Ungheria nazzzzzzzista bbbrutta che fa i muuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuri (grande classico, qui interpretato da Furio Colombo).

Qualche post fa vi ho spiegato, parlando della Lettonia, che in un sistema economico la spesa è necessariamente uguale al reddito (tenendo conto, ovviamente, degli scambi internazionali, cioè degli acquisti fatti a o dall'estero e dei redditi percepiti o corrisposti all'estero).

Insomma:

SPESA = REDDITO

che poi significa:


CONSUMI + INVESTIMENTI + ESPORTAZIONI NETTE = SALARI + PROFITTI

(cioè: la spesa delle famiglie e delle imprese, tenuto conto degli scambi con l'estero, deve corrispondere ai redditi percepiti dai lavoratori dipendenti e dai "capitalisti").

La svalutazione "esterna" (del cambio) rilancia il reddito perché rilancia le esportazioni nette (se avete problemi con questa affermazione citofonate al Fmi, o guardatevi questa slide del suo chief economist). Quella interna (cioè il taglio dei salari) deprime la spesa perché... ecco: perché taglia i salari, appunto, e quindi deprime il reddito.

Nel lungo periodo, magari anche prima che finisca come diceva Keynes, può anche darsi che entrambe le strategie portino a una nuova crescita (che poi dipende anche da quanto succede al resto del mondo e a tante altre cose - ad esempio, al sistema finanziario: vedi sotto la storia dell'Irlanda). Ma nel breve la scelta fra le due strategie è chiaramente una scelta di classe. La svalutazione interna è una scelta fascista di compressione dei salari (quando dico "fascista" intendo innanzitutto "mussoliniana", ma di questo vi parlerò in un post separato, e poi "classista" e "paternalista", secondo l'accezione più generica del termine). Quindi, come dire: se sei un fascista ovviamente porti ad esempio i paesi che l'hanno praticata. Attenzione: questa è una condizione sufficiente ma non necessaria. Ad esempio, io non credo che Massimo Franco, che in trasmissione a La 7 ha lodato il caso irlandese, sia fascista: sono sicuro che sia un sincero democratico, e infatti ha espresso preoccupazione per quanto sta succedendo in altri paesi dove la svalutazione interna è stata portata alle estreme conseguenze (vedi ad esempio la Grecia). Credo però che non abbia visto i dati che ora vi mostro, riferiti all'aggiustamento nell'Irlanda brava che ha fatto le riforme e nell'Ungheria brutta che alza i muri (dimenticandoci sempre di dire che li alza perché l'Europa le chiede di farlo allo scopo di controllare le frontiere esterne, preciso obbligo sancito dal Trattato di Schengen, obbligo la cui inadempienza viene rinfacciata alla Grecia con ipocrisia farisaica tipicamente alamanna...).

Cui le due tabelle:




Le variabili, ve lo ricordo sono il PIL (Y), consumi interni (C), investimenti fissi lordi (I), esportazioni nette (NX), salari (W), redditi da capitale/impresa e misti (GOS), imposte indirette nette (NT) e i relativi rapporti.

Sintesi: nell'Ungheria nazista, che alza i muriiiiiiiiiiiiiiiiii, un governo conservatore è riuscito a mantenere la quota salari W/Y sostanzialmente inalterata, fra il 45% e il 45% del PIL nel periodo per il quale Eurostat ci fa la cortesia di elargirci i dati (che si ferma a tre anni or sono). Ovviamente, l'Ungheria ha svalutato il fiorino quando è stato necessario, come vedete da qui (sono fiorini per euro, quindi quando la linea sale il fiorino svaluta e ce ne vogliono di più):


ma questo non ha portato ad alcun innalzamento significativo della quota dei profitti.

Nell'Irlanda, membro eletto dell'accolita degli stati virtuosi, un governo laburista ha realizzato il miracolo economico nazionalizzando banche a stecca (piccolo dettaglio che al dott. Franco era sfuggito, nonostante abbia portato il rapporto debito pubblico/Pil dell'Irlanda dal 42,4% al 119,9% del Pil in cinque anni - ma loro sono virtuooooooosi!), e schiacciando la quota salari W/Y di quattro punti, che poi sono esattamente i quattro punti dei quali è cresciuta la quota dei profitti GOS/Y.

Cosa c'è di strano? In un paese che salva le banche con soldi pubblici e recupera competitività schiacciando i salari perché non può aggiustare il cambio, i salari diminuiscono e i profitti aumentano (in rapporto al reddito totale). Questo è il mondo che, a quanto mi sembra di capire, piace al dott. Franco (magari perché non aveva avuto modo di approfondire questi aspetti, o forse perché credo sia il mondo che legittimamente piace al suo editore, che è un capitalista e quindi fieramente schierato a difesa della sua quota di prodotto, il profitto. Sarebbe utile poterne discutere con serenità, cosa che non dipende da noi, ma dal rifiuto di certa stampa di dare spazio a voci indipendenti).

Ci dicono che piace anche agli irlandesi, ma io ci credo poco.

A me non piace.

E a voi?




giovedì 28 aprile 2016

Atlante e la Valchiria (allacciate le cinture)

(...post pubblicato a screzio dall'iPhone. Parla Charlie Brown. Io me sto a tajà dalle risate...)


BELLA LA MIA VALCHIRONA!:

 

 

D:  "Parliamo del fondo salva-banche Atlante. Cosa avete deciso su possibili aiuti di Stato?

 

R: "Non prenderemo alcuna decisione definitiva se non saremo informati della questione. Se le autorità italiane ritenessero che c'è un aiuto di Stato, ci informerebbero. Noi possiamo porre domande, ma fino ad ora non abbiamo ragioni per farlo".

 

D: Non vi preoccupa la presenza della Cassa Depositi e Prestiti, un'entità controllata dallo Stato?


R: "Le nostre procedure non dipendono dal coinvolgimento o meno di un ente privato o pubblico.Dipende dai prezzi. Se sono di mercato, va bene".

 

D: Atlante potrebbe acquistare tranche di cartolarizzazioni di crediti deteriorati a prezzi sopra quelli di mercato...


R: "E' un'ipotesi poiché non conosciamo il prezzo di mercato per questo nuovo prodotto di crediti deteriorati. Parte della questione è creare un mercato".

 

D: Userete come riferimento il prezzo di 17,6 centesimi stabilito durante la risoluzione delle 4 banche?


R: "Ma questo non c'entra nulla. Sono due argomenti completamente diversi".

 

D: Atlante prevede che molte banche convergano in un solo fondo. Non c'è un problema di concorrenza?


R: "Ci sarebbe se lo scopo fosse colludere sui prezzi o dividere il mercato, ma non è questo lo scopo in questo caso. Se vuoi lasciare che le persone trovino soluzioni di mercato, devi permettere loro dicoordinarsi.“ 


(Fonte: http://www.repubblica.it/economia/2016/04/28/news/margrethe_vestager_atlante_un_modello_per_le_banche_italiane_sull_inchiesta_google_non_siamo_anti-usa_-138644229/)

 

Fuuuurbi: hanno già il copione pronto! Siccome non c’è un mercato [falso], il mercato lo fa Atlante [che ha finalità pubbliche] con i primi acquisti [che rappresentano una quota infinitesimale del mercato e sono fatti con finalità pubbliche]!!!

 

…la valchiria ha appena condannato il sistema bancario italiano ad una nuova crisi.

 

Se Atlante resta con 2 miliardi che leva vuoi che faccia (non per niente il ceo di intesa, Messina, dice che vuole una leva “limitata” = massimo altri 4 miliardi)? Se poi fa leva folle diventa iper-speculativo ed i suoi titoli assorbono il capitale dei suoi stessi sottoscrittori (Unicredit, Intesa, Banco Popolare, blah blah) in modo esponenziale.

 

Basta quindi che i fondi esteri scarichino le sofferenze (il mercato c’è ed è sottile, quindi è facile manipolarlo) e ci troviamo al 5-10% invece che al 40%.

 

E come fa a quel punto questa travet che pensa di esser fuuuurba a dire che il mercato lo fa Atlante, con CDP dentro  che si presenta a comprare al 40%?

 

Fondi privati dicono 10, un carrozzone quasi pubblico dice 40. Chi distorce il mercato?

 

In pratica la settimana prossima o quella dopo mi aspetto un dumping furibondo sulle sofferenze (ma anche un po’ su tutto il comparto) da parte dei fondi.


Voglio veder che dicono quando Banco Popolare va in [beep] e MPS va a zero...

 

Naturalmente ciò tira giù subito Unicredit e…. alè si balla …. Poi a logica vanno giù i titoli nordici e... slurp... goduria ribassista... grazie ai coglioni “europei”...

 

Se indovino mi compri un bignè al cioccolato, ok?

 

Senno pago io un cannolo.

 

Sconsolati saluti


Charlie Brown



(...accetto la scommessa, ma col cannolo poi che devo farci? Io son sempre del parere che prima delle elezioni USA un casino simile non lo lasceranno scoppiare. Certo, se la signora esterna un po' a vanvera... Mercato? Ma che ne sa una socialista danese del mercato!? D'altra parte, secondo me l'allegra combriccola eurista de noantri da un lato non si rende conto di essere sotto botta [e se poi la Valchiria decide che invece è aiuto di Stato?] e dall'altro non è preparata a dare l'unica risposta adeguata: mastica! Chi vivrà vedrà...)


mercoledì 27 aprile 2016

Sim sala BIN! (il fallimento di Atlante...)

(...da Charlie Brown, che... sì, ecco, bravi, che non sono io, perché è lui, cioè uno al quale per non so quale cazzo di motivo - forse perché sta perdendo lavoro? - l'economia interessa molto, mentre a me interessa sempre meno, chissà, forse perché mi sono rotto i coglioni di parlare di euro, e anche di sentire colleghi che, essendo stati alla cappa per anni, ai convegni poi interloquiscono dicendo: "Forse dovremmo smettere di parlare di euro!" [dovremmo? E tu quando mai ne avresti parlato?...] insomma: da Charlie Brown, che appunto non sono io anche perché è lui, come del resto lui non è me - in questo caso la relazione è simmetrica - ricevo un pezzo che rapidamente pubblico. Io mi sto interessando di altro, in altra lingua, e per altra pubblicazione: ma il tema del giorno è questo, e sentite cosa ha da dirvi Charlie Brown che...)




Anche la verità sui "salvataggi" bancari è subito venuta a galla.

Dopo due settimane di balle Olimpiche, il Sole 24 Ore , la voce dell'establishment eurista, viene allo scoperto: Atlante è in realtà un Atlantino: serve un Atlantone, un revival delle Banche di Interesse Nazionale (B.I.N.) .

Naturalmente, per essere sempre più furbi, per fare i bravi Balilla euristi mente sotto sotto si caca sul fascio stellato, occorre che tale massiccio aiuto di stato venga spacciato per una operazione "di sistema", aperta alla partecipazione maggioritaria dei "privati", e questa volta "privati globali". Ca va sans dire, si pensa ai soliti cinesi (datemi un cinese e smuoverò il mondo!).

La tecnica è abbastanza ovvia: anziché trasferire poste patrimoniali sopravvalutate delle banche (le sofferenze) si trasferiranno le stesse banche decotte al valore del loro patrimonio netto (che grazie alle sullodate sofferenze tende allo zero se non addirittura negativo). Il nuovo Atlantone comprerà tanto a poco, anziché poco a tanto come il tapino Atlantino. Ed il bello è che comprando banche marce anziché crediti marci lo Stato investe, anziché spendere! E quindi niente valchiria Vestager! Furbissimi!

Che genî gli euristi: da un sistema bancario decotto a causa dell'euro ad una nuova brillante mega-operazione "di sistema" nell'euro.

Sim-Sala-BIN!

Naturalmente, vale sempre la stessa banale realtà: spostare da qui a là barili di scorie tossiche non rende meno tossiche le scorie, che prima o poi vanno smaltite con tutti i relativi costi. E quei costi non pensiamo per un istante che saranno gli "investitori privati globali " a sopportarli. A sopportarli saremo noi e solo noi: gli italiani.

I cari tedeschi, che saranno beceri ma i conti li fanno e per tempo, hanno capito dove si va a parare e si stanno premurando di assicurare che domani il conto lo paghi, appunto, il contribuente italiano e non quello "europeo" (leggi: "tedesco"). Per questo hanno preso di mira il QE di Draghi  e proposto - tramite i loro lacchè olandesi - di introdurre limiti all'acquisto di debito pubblico da parte delle banche. QE infatti da noi equivale ad una monetizzazione coatta del debito pubblico da parte di uno stato che, grazie all'euro ed alla correlata austerity salva-euro, non ha strumenti fiscali e valutari per rientrare su un sentiero di crescita. Naturalmente, della garanzia all'80% da parte di Banca d'Italia  i tedeschi sanno cosa farsene: pulirsi il parafanghi del Mercedès.

Ovvio? Sì.

Scontato? Sì, sì.

Già detto? Sì, sì, sì.

Banale? Sì, sì, sì, sì.

Dunque usciamo da 'sto cazzo di Euro?

Noooooooooooooooooooooooooo!







(...non sono io. Però in questo caso mi farebbe piacere...)

domenica 24 aprile 2016

Il miracolo lettone fra propaganda e contabilità (#pirreviù)

Una piovosa domenica di aprile
Come forse vi sarà capitato di sentir dire da qualche cialtroncello, io sono notoriamente "ai margini della comunità scientifica". Fatto si è che questa comunità, animata da spirito filantropico, oltre a pubblicarmi in fascia A, a farmi organizzare convegni internazionali, ad assistere alle presentazioni dei miei lavori in seminari all'estero, mi onora fino al punto di inviarmi dei peiper (dall'itangliano paper) da referare (con un #ciaone alla #branacademy, quella simpatica combriccola di influencer renziani...).

Quando arriva la richiesta, ecco, in quei momenti sì che vorrei essere veramente ai margini della comunità scientifica, anzi, un po' più in là: all'esterno e ben lontano dai margini dei sedicenti scienziati, che in molti casi, come sapete, non toccherei nemmeno con uno stecco. Non so se vi ho mai detto come funziona: mi arriva un lavoro di non so chi (e non devo saperlo), sul quale devo esprimere un parere del quale l'editor (il curatore) della rivista terrà conto nella sua decisione se pubblicare o meno il lavoro. Naturalmente anche il pisquano di turno non deve sapere chi io sia, altrimenti il gioco non funziona. Può essere uno stimolo all'approfondimento, e spesso lo è, ma mediamente è una solenne rottura di coglioni, anche perché mentre quando mando lavori io raramente ricevo commenti dettagliati (tirano via, i colleghi), e qualche volta commenti francamente ridicoli, io invece purtroppo sono vittima della mia etica professionale, e quindi controllo tutto, fornisco all'autore suggerimenti costruttivi, ecc.

Una seccante asimmetria, fra tante altre...

Nel penultimo peiper che ho dovuto referare l'autore voleva convincermi di una sua folgorante intuizione: che la crisi dell'Eurozona non era dovuta solo al debito pubblico dei paesi del Sud ma anche e soprattutto agli squilibri esterni causati dal cambio fisso e che quindi (quindi?) era necessario procedere verso un'unione fiscale. Per scrivergli fra le righe quello che pensavo mi sono limitato a fare la lista di tutti quelli che ci erano arrivati prima di lui (ovviamente escluso me, altrimenti mi tanava).

L'ultimo è ancor più spettacolare: l'autore vuole convincere il lettore che la svalutazione interna funziona prendendo ad esempio il caso della Lettonia. Di quel caso noi abbiamo parlato spesso, citando l'articolo di Weisbrot e Ray (2011) che esprimeva un certo scetticismo sul "successo lettone" (con l'accento sulla "e"). Nel frattempo però sono passati cinque anni, e quindi hai visto mai che Weisbrot e Ray non fossero dei malfidati? Chissà, magari i programmi di aggiustamento à la FMI funzionano...

Certo, la questione è controversa: se lo chiedi al FMI lui ovviamente cosa vuoi che ti dica? Ma che va tutto benissimo! "IMF-supported programs have generally been successful" (Haque e Khan, 1998). Ma se invece della ricerca fatta in casa, e quindi potenzialmente soggetta a conflitto di interessi, ci si orienta sulle migliori riviste scientifiche internazionali, ecco che la musica cambia: "The reality is that Fund programs seem to have a negative effect on investment and possibly economic growth, often do not enable countries to graduate from a reliance on IMF resources, more often than not remain incomplete, and do not catalyze external finance from other sources" (Bird, 2001).

A differenza del libbberista medio cerco di essere scevro da pregiudizi. Mi accingo così al mesto ufficio e pio, quando il mio orecchio musicale viene colpito da una stecca clamorosa. Eh già! Perché l'autore cosa mi dice? Che se in un paese che non può aggiustare il proprio tasso di cambio (svalutazione esterna) i salari non calano (svalutazione interna), allora il PIL diminuirà.

E voi mi direte: "Bè, ma ha ragione! Se i salari non si flettono, il costo del lavoro rimane alto, quindi i prezzi dei prodotti nazionali sono troppo alti, quindi sia i residenti nel paese che i residenti esteri preferiranno beni esteri, e quindi aumenteranno le importazioni (che producono reddito all'estero), e diminuiranno le esportazioni (riducendo i redditi delle imprese nazionali)".

Ah, bè, certo, non fa una piega... se però non sapete come è definito il PIL!

Intermezzo tecnico
Se volete approfondire, vi suggerirei questo testo, che è rimasto misteriosamente nascosto ai colleghi libbberisti. Il manuale del System of National Accounts (edito da Nazioni Unite, Commissione Europea, OCSE, e spicci) è la fonte di riferimento per la contabilità nazionale. Il nostro sistema (ESA 2010) è sostanzialmente compatibile con lo SNA, e quello di cui vi voglio parlare è veramente roba molto semplice (ma istruttiva) sulla quale non sussistono divergenze di alcun tipo fra i diversi sistemi contabili nazionali.

Giuseppe su Twitter si è lamentato del fatto che sono troppe pagine. Ma non bisogna mica leggerle tutte! A noi ne bastano quattro: il quadro di raccordo dei vari conti (pp. 326-327), e il confronto fra le tre definizioni di PIL (pp. 332-333). Poi, se volete, partendo da questo (che è il succo della questione), potete approfondire a vostro piacimento. Io intendo solo farvi capire perché dire che "se i salari non si flettono il PIL si contrae" è una colossale scemenza.

Lo è perché anche (e soprattutto) se i salari si flettono il PIL si contrae per definizione.

Vediamo di capire perché, partendo dal funzionamento di quella cosa che ai nostri amici libbberisti rimane un po' opaca, l'economia di mercato. Chissà: forse la amano tanto perché la capiscono poco. A me è successo con alcune donne, ma mai sul lavoro!

L'economia di mercato funziona così: si produce per vendere, e si vende per guadagnare. Certo, non è detto né che si produca sempre tutto quello che si vuole (o che gli altri vogliono),  né che si venda tutto quello che si è prodotto (o che si riesca ad acquistare tutto ciò che ci occorre), né, soprattutto, che si guadagni quanto si desidererebbe guadagnare (perché in questo caso sky is the limit...). Non è cioè detto che ci si trovi sempre in equilibrio economico, che è la situazione nella quale tutti sono soddisfatti e quindi non cambierebbero la propria posizione con quella di un altro. Tuttavia, se una cosa viene venduta qualcuno l'ha prodotta e qualcuno ha speso per acquistarla: quindi l'equilibrio contabile implica che coesistano e siano identiche tre definizioni di PIL: quella dal lato della spesa (cioè della domanda); quella dal lato della produzione (cioè del valore aggiunto); e quella dal lato del reddito (salari e profitti).

Non è che questa identità fra le tre definizioni del PIL me la sia inventato io questa notte, spero sia chiaro! È così per due ottimi motivi. Primo, perché lo dice il manuale dello SNA (leggere per credere):


(pagine 332-333 del manuale), e secondo, perché non può che essere così, in base al semplice ragionamento che abbiamo svolto sopra circa il flusso circolare di produzione-spesa-reddito.

Nei nostri post tecnici abbiamo quasi sempre fatto riferimento alla seconda misura, quella "dal lato della spesa", secondo cui:

Y = C + I + NX

dove Y è il PIL (gross domestic product, prodotto interno lordo), C i consumi finali (privati e pubblici), I gli investimenti lordi in capitale fisico (gross fixed capital formation: macchinari, attrezzature, veicoli e capannoni industriali,...), e NX le esportazioni nette (exports less imports). Manipolando questa relazione si ottengono, ad esempio, i saldi settoriali, di cui abbiamo parlato la prima volta credo qui, e che trovate descritti più in dettaglio (e più in sintesi) qui. Questa definizione (expenditure measure) è alla base di ogni modello macroeconomico, e chi fra voi ha studiato economia sicuramente l'ha incontrata. Oltre a essere una definizione di PIL, è anche interpretabile come una condizione di equilibrio:

Offerta/Produzione (Y) = Domanda/Spesa (C+I+NX)

(dove la domanda viene classificata a seconda di chi la esprime: famiglie, imprese, estero).

Ma la definizione dal lato della spesa nasconde due cose:

1) chi ha prodotto il reddito (ovvero: la struttura settoriale dell'economia);
2) come viene distribuito il reddito (ovvero: la ripartizione fra salari e profitti).

Alla prima domanda risponde la definizione (a), quella lato produzione, secondo la quale il PIL è:

Y = GO - IC + NT

ovvero: il PIL è uguale alla produzione lorda (gross output, GO), meno i consumi intermedi (cioè i beni e servizi utilizzati come input del processo produttivo, IC), più le imposte indirette nette. Insomma: è uguale al valore aggiunto dal processo produttivo alle materie prime. Naturalmente questa definizione può essere disaggregata per settore, ottenendo il valore aggiunto di agricoltura, costruzioni, manifattura, servizi di vario tipo, ecc. Insomma: mentre la prima definizione (quella che usiamo di solito) ci permette di interrogarci sulla composizione della domanda (quanti consumi? Quanti investimenti? Quante esportazioni?), la seconda ci permette di interrogarci sulla composizione dell'offerta (quanta agricoltura? Quanta industria? Quanti servizi?).

Resta sempre da chiedersi a chi venga distribuito il reddito prodotto, e questa, ovviamente, è la cosa sulla quale gli amici libbberisti preferiscono glissare (non devo spiegarvi perché...). A questa specifica domanda risponde la terza definizione di PIL:

Y = W + GOS + TS

ovvero: il PIL è uguale alla somma dei redditi da lavoro W (compensation of employees), più la somma dei redditi da capitale/impresa (il risultato lordo di gestione, gross operating surplus, cui si aggiunge il reddito misto, mixed income, che è il risultato dell'attività economica svolta dalle famiglie: li ho indicati con GOS), più il saldo fra tasse pagate su produzione e importazioni e sussidi ricevuti.

Allora, ricapitoliamo: se mettiamo a sistema la prima e l'ultima definizione, che cosa salta fuori? Questo:

Y = C + I + NX = W + GOS + TS = Y

ovvero: il PIL inteso come spesa deve ovviamente essere uguale al PIL inteso come reddito (se non percepisci reddito, come fai a spenderlo? Sì, certo, indebitandoti: ma in un paese in crisi i soldi che te li dà?).

E da questa storia cosa si dovrebbe capire? Ma, semplicemente che il calo dei salari (cioè la diminuzione di W) non può far aumentare il PIL (cioè Y), a meno che non riesca:

1) dal lato della spesa a produrre un sensibile aumento di NX (i consumi C non possono aumentare più di tanto, se togli soldi ai lavoratori)

2) dal lato dei redditi a produrre un sensibile aumento di GOS, cioè dei redditi da capitale.

Quindi?

Quindi ricordate il discorsetto qui fatto miliardi di volte, quello sulla famosa "uscita a sinistra" (discorsetto che per fortuna dopo la crisi greca ci si vergogna di fare in pubblico, ma, vi assicuro, purtroppo si continua a fare in privato)? L'idea era: "Bagnai libbberista, tu vuoi svalutare perché sei amico di Soros (hanno detto anche questo!) e quindi vuoi ridurre i salari dei lavoratori, che, a parità di salario nominale - cioè di soldi in busta paga - perderebbero potere di acquisto a causa dell'inflazione brutta e cattiva!". Ovviamente noi abbiamo fatto vedere coi dati che questo non succede praticamente mai. Viceversa, quello che succede sempre è che se il cambio non si flette i lavoratori rimangono fottuti, perché le loro buste paga, i loro salari nominali devono essere tagliati, e quindi diminuiscono comunque a vantaggio dei profitti (e a prescindere da cosa farà l'inflazione).

Non è insomma il cambio flessibile (e la sua svalutazione esterna) a essere nemico dei lavoratori, ma il cambio fisso (con la connessa svalutazione interna), e chi lo difende (sindacati, uscisti da sinistra, e perfino Brunetta, che è venuto su Twitter a farmi la lezioncina - rinuncio a citare Rabelais, anche perché in fondo Brunetta, da persona di destra, se difende l'austerità, cioè l'euro, fa il suo lavoro, difende i suoi interessi di classe...).

Il miracolo lettone
E andiamo allora a vedere cosa è successo in Lettonia. È successo questo:


(i dati vengono da qui).

Intanto, verifichiamo le definizioni.

Nel 2008 il PIL era pari a 22.890 milioni di euro, ovvero a:

18.889+7.146-3.144 (consumi più investimenti più esportazioni nette), ma anche a:

11.625+9.189+2.077 (salari più profitti più imposte nette).

I mercati finanziari prestavano largamente: 14% del PIL di deficit estero! I lettoni, però, con questi soldi facevano anche investimenti: il rapporto investimenti/PIL (del quale occorrerebbe investigare la composizione, volendo) era al 31%.

Poi arriva la crisi, e nel febbraio 2009 interviene il simpatico comitato di affari della finanza internazionale, il FMI, le cui priorità sono ovvie: abbattere il deficit estero. Il taglio dei salari a questo serve: promuove le esportazioni, e, soprattutto, nell'immediato, abbatte le importazioni (perché durante una crisi finanziaria non puoi spendere i soldi che non hai!)

I salari medi unitari (rapporto fra salari e occupati, W/N) passano da 11.016 a 9.518 euro, con una contrazione del 13,6%. Il PIL diminuisce di quasi il 20%, la disoccupazione, U, passa dal 7,7% al 17,5%. L'obiettivo però è raggiunto: il deficit estero passa dal 14% all'1% del PIL, un calo di 13 punti di cui 10 spiegati dal calo degli investimenti (ricorderete che S-I=X-M).

Le cose non vanno molto meglio nell'anno successivo: il saldo estero rimane sostanzialmente in equilibrio, ma la disoccupazione raggiunge il 19,5% mentre il PIL cala di un altro 5%. Si arriva così al 2011, l'anno della ripresina, in cui Weisbrot e Ray scrivono il loro articolo. Ora abbiamo a disposizione altri due anni di dati (Eurostat non ha ancora reso disponibili i dati del 2014...), e possiamo mettere la storia in prospettiva.

A questo scopo, nell'ultima colonna ho segnato la variazione delle variabili, scomponendola in due parti: da prima della crisi al punto di minimo del PIL (dal 2008 a 2010) e dal minimo in poi (da 2010 a 2013), oltre ovviamente alla variazione complessiva.

Fra 2008 e 2010 la Lettonia ha perso 4.851 milioni di euro di PIL, pari al 21%, per poi riprenderne 5.333 nella fase ascendente (pari al 29%). Rispetto al 2008, nel 2013 la Lettonia era cresciuta del 2%, ovvero di uno 0.4% all'anno. Naturalmente la cosa può anche essere raccontata come "che brava la Lettonia che con le riforme è cresciuta del 29%!", e se cercate qualcuno che la mette così lo troverete di sicuro. Ma il fatto è che in cinque anni la Lettonia è praticamente rimasta al palo, anche se la svalutazione interna qualche effetto "strutturale" lo ha avuto.

Intanto, a fine corsa (nel 2013) i salari medi unitari erano sempre inferiori del 2% rispetto al 2008. Notate che sto parlando di valori nominali: tutte le serie riportate sono a prezzi correnti. Avete idea di quanto sia stata l'inflazione cumulata in Lettonia fra 2008 e 2013? Vi lascio per esercizio il determinarlo, e vedrete che la diminuzione del salario reale (sì, proprio quello che secondo gli economisti progressisti sarebbe tutelato dal cambio fisso) è di quasi dieci volte superiore...

E la quota salari? Il feticcio della sinistra eurista, da preservare mettendoci sotto l'ombrello dell'euro che ci protegge? Bè, anche lì le cose ovviamente non vanno bene. Le esportazioni nette, nel periodo, sono aumentate di 2.709 miliardi, ma questo aumento di reddito (parzialmente compensato dal calo di consumi e investimenti) si è distribuito in modo molto disuguale: la quota salari è scesa di 10 punti (dal 51% al 41%) e la quota dei profitti è aumentata di 9 punti (dal 40% al 49%, la differenza essendo spiegata dall'andamento delle imposte nette).

Chiaro il concetto? La svalutazione interna è una politica redistributiva: la più feroce delle politiche redistributive. Trovatemi un paese, fuori dall'America Latina, dove la svalutazione esterna (quella del cambio) abbia fatto carne di porco dei lavoratori in un modo confrontabile, e anche qui vi offro i due biglietti per il #goofy5 che mi sono avanzati dal post precedente!

E se ve li offro, credetemi, ci sarà un perché... ed è che non avete ancora visto tutto quello che c'è da vedere!

Se i salari nominali sono più bassi alla fine che all'inizio della storia, vuol dire che qualcosa dovrà essere più alto. Che cosa? La disoccupazione, bravi, che dopo il picco del 19,5% è diminuita fino a raggiungere 11,9%. Meglio di 19,5%, direte voi. Certo! Ma sono sempre quattro punti in più del 7,7% iniziale. E non finisce qui, perché bisogna anche vedere come è diminuita la disoccupazione. Guardate il numero di occupati, N (sono milioni). Nel 2008 era 1,05. Scende a 0,9 nel 2009, quando il tasso di disoccupazione è al 17%, e rimane sostanzialmente lì: 0,89 nel 2013, quando la disoccupazione è all'11%.

Ma... Ma... Ma...

Ma se gli occupati rimangono fissi a circa 900.000 unità, come fa la disoccupazione a scendere?

Così:

(i dati si riferiscono alla popolazione in età lavorativa, 15-64).

Nota: sopra ho riportato medie annuali, mentre qui, per pigrizia, vi illustro la dinamica col dato dell'ultimo trimestre (il che non cambia molto). Dal paese se n'è andato circa il 10% della popolazione in età lavorativa, che corrisponde a circa il 10% della forza lavoro, che corrisponde a grandi linee alla diminuzione degli occupati (pari a circa l'11%). Ah, certo, sono diminuiti anche i disoccupati, di circa il 2%. Va anche detto che, date le dimensioni della Lettonia, con tre o quattro testate nucleari piazzate bene si sarebbe anche potuto portare la disoccupazione a zero, volendo.

Ma le testate nucleari inquinano.

La svalutazione interna no: ha solo determinato un esodo della popolazione lettone. Ricordate il discorso fatto nel post precedente? Ecco, potremmo riprenderlo anche qui, con l'apposito disegnino:


(vi ho riportato per memoria la Grecia, altro grande successo della svalutazione interna). Il tasso di migrazione netta della Lettonia è molto più impressionante di quello della Grecia, ne converrete.

Bene: siamo arrivati alla fine del post, un post dove abbiamo richiamato diversi temi di questo blog.

Il principale è lo sdegno verso i traditori di sinistra, quelli che difendono il cambio fisso sulla base di una concezione vetusta del conflitto sociale, che ignora come il grimaldello per scassinare diritti e tutele dei lavoratori siano le crisi provocate dal cambio fisso, e non la svalutazione del cambio flessibile. Il cambio fisso provoca crisi, le crisi provocano il "fate presto". Il resto lo avete visto succedere diverse volte, ormai...

L'inflazione non è nemica dei lavoratori, come sosteneva quel simpatico fascista (sotto il fascismo) di Einaudi: no, è piuttosto amica dei lavoratori, come sosteneva quel keynesiano di Keynes, il quale aveva anche capito che l'inflazione è nemica dei rentier, che a loro volta sono amici dei fascismi, e qui il cerchio si chiude (astenersi quelli che "la destra sociale" o vi scateno Correttore di bozzi).

Chi vuole il cambio fisso vuole l'aumento della quota del capitale, non di quella del lavoro. Sul perché uno a sinistra debba porsi un obiettivo simile (che non è molto saggio nemmeno per un liberale) io sinceramente non saprei darvi lumi: non faccio né lo storico, né il politologo, né lo psichiatra. Ma i numeri so metterli in fila, e credo che li abbiate capiti bene anche voi.

Poi, in questo post abbiamo richiamato un'altra simpatica caratteristica del meccanismo nel quale siamo coinvolti, già evidenziata nel post precedente: il fatto di rendere necessaria la deportazione dei lavoratori per lenire il costo sociale della disoccupazione, indispensabile per favorire la "flessibilità" (cioè il taglio) dei salari. Nel caso lettone questa dinamica è evidente. Va detto che i popoli dell'Est superano con una discreta scioltezza le barriere linguistiche (non è del tutto un loro merito, perché se sei in Lettonia e parli il lettone, con tutto il rispetto, l'inglese ti tocca studiarlo: se ti rifiuti, ti restano da leggere solo due mattoni come la Divina Commedia e la Ricerca del tempo perduto: i due capolavori più noti della letteratura lettone...). Ma va comunque detto che sentir definire l'esodo di un decimo della popolazione come un grande successo è cosa che suscita un lieve fastidio.

Ecco, ora vi lascio. Reprimendo questo lieve fastidio, cercherò di dire nel modo più delicato e professionale possibile al gentile collega cosa penso del suo lavoro.

E voi godetevi la famiglia.

(...mentre io contengo la mia emotional response...)

(...sì, sono razzista. E sono anche fragile: mi si rompono subito i coglioni...)